sabato 17 marzo 2012

Palle: le vendono a paia.

Sono un regalo. Potrei esserlo per te, caro Partner Potenziale. Sono un regalo impacchettato da un amico bastardo che si è liberato di tutte le Gazzetta dello Sport che aveva in casa per impacchettarmi. Rotolato in 6 pacchetti di nastro adesivo - maledetto sadico…

Non sono una bottiglia nella carta dorata attraverso la quale i tuoi amici ti palesano il tuo problema con l’alcol. No, è evidente. Non sono neanche un libro che lo soppesi, ancora nell’involucro, lo scuoti e esclami: “sicuramente non è un ombrello”. Ma tantomeno una cravatta che stringe al collo e sta di merda su quattro terzi del tuo guardaroba.

Sono un maglione, forse, o un paio di jeans.

Meglio! Sono una t-shirt. Regalo disimpegnato. Se non è il tuo colore preferito o non vesti una small, trovi lo scontrino nella busta. Lo puoi presentare alla cassa e lo cambi con quello che vuoi. Non mi offendo.

Ma cazzo, scartami!

Possibile che non esistano più le gradazioni di grigio? O è amicizia o storia d’amore o scopata. Il Sig. Scoprirsi è defunto, schiacciato sotto un camion di lustrini.

Palle! Ecco l’articolo che dovrebbero regalarti. Si chiamano così e servono a prendersi in mano la propria vita, guardare chi si ha di fronte, talvolta, se si presenta l'occasione, e decidere che si può rischiare di mettersi a scartare; servono ad avere il coraggio di non descrivere tutto quello che vedi col poco che sai, perché anche se oltre il ciglio si trovasse una scogliera a strapiombo, possiamo rischiare almeno di affacciarci. Le palle si vendono in paia e la misura non è importante. Il costo è modico ma non sempre si ha la voglia di spenderlo: si chiama rischio, maledetto te.

lunedì 12 marzo 2012

Un aborto improvviso.

Il tuo cuore stecca la nota

E il mio

Stacca da terra.

Un aereo

Un aborto improvviso.

martedì 6 marzo 2012

Costruttori di piedistalli.

Sono qui, in ufficio ad ascoltare la pioggia. Ancora il sapore di un caffè al ginseng in bocca e il macbook sulle gambe, fresco sotto le mie dita.

La pioggia ha il difetto di far pensare e i pensieri quello di far piovere altri pensieri. I pensieri hanno anche un pregio: quello di morire, a volte, quando vengono scritti. Per cui, che la carta abbia pazienza.

E mi chiedo perché mai continuo a caricare aspettative sui miei cannoni! Sono puntati su uomini che neanche conosco, su persone che cercherei di modellare sotto le mie necessità e a cui rinfaccerei la loro inadeguatezza. Eppure sono lì, pronti a sparare. Io, indaffarato a spegnere la miccia tra due dita.

Privi di funi adatte a scalare i piedistalli che ci costruiamo gli uni con gli altri, siamo destinati a caderne e a deludere il costruttore avido.

Non voglio essere un costruttore di piedistalli. Voglio incontrare e farmi esplorare. Voglio sapermi concedere all’amore senza subirne i legami. Più sinceramente: non voglio essere quello che aspetta una pacca sulle spalle, e che gli si dica “Ehi, complimenti! È così bello amarti”. Eppure lo sono stato e in parte lo sono ancora.

Voglio strappare questi fili, farli saltare come corde sfibrate di una chitarra che non risponde più ai miei accordi. Voglio Amare per un momento singolo, ma totalmente. Amare un riflesso solo, dei mille che sono prodotti dal diamante di un anima. E so che i momenti saranno mille e i riflessi milioni.

Mi libero dell’amore, nell’amore. Questa è la mia preghiera laica in un martedì piovoso.